vittorio errico graphic designer photographer visual artist

Nella vita il mio lavoro mi ha dato tante soddisfazioni, ma anche qualche dispiacere. Oggi voglio soffermarmi proprio su uno di questi.

Le radici di questa storia risalgono al lockdown di marzo 2020. Un cliente poi diventato amico (col quale avevamo provveduto a realizzare già un lungo percorso fatto di disegno del logotipo, gran parte del coordinato aziendale, foto still life dei prodotti e altro ancora) mi chiamò.

Durante la nostra chiacchierata si aprì e mi confessò le difficoltà economiche che stava attraversando, chiedendomi di interrompere la comunicazione. 

Lì per lì non potei che esprimere la mia completa comprensione dandogli tutto il supporto possibile, modificando alcuni aspetti del progetto per adattarlo al cambio di rotta del suo business che progettammo insieme, e realizzando il tutto pro bono.

Il primo lockdown è stata una bestia nera, noi stessi eravamo in grande difficoltà a causa dei cambi di rotta dei nostri committenti e non ci restava altro che fare rete, trovando nella solidarietà e comprensione reciproca la forza per tirare avanti.

Ora ti starai chiedendo “Quindi? Qual è la delusione di cui volevi parlarmi?”.

Una mattina, durante una sessione di scrolling su instagram, comparve sulla bacheca una grafica inaspettata.

Quello che ormai era diventato un mio ex cliente si stava mostrando con un logo modificato, svilito e privo dell’identità che tanto avevamo ricercato in fase di realizzazione. È stato subito palese il lavoro realizzato da un’altra agenzia di comunicazione.

Ci sono rimasto male? Sì, ma non per quello a cui stai pensando, anzi. La mia delusione deriva da due aspetti che recrimino a me stesso.

Il primo tasto dolente è: non esser riuscito a instaurare trasparenza tra me e il cliente. 

Credo che la trasparenza sia tutto e, come in ogni tipo di rapporto, sono convinto che anche tra azienda e studio ci sia un inizio e una fine. 

Non ci avrei visto nulla di male se quel giorno il mio cliente mi avesse detto “voglio interrompere il rapporto con studiomono” per poi iniziarne uno nuovo con un’agenzia, professionista o chicchessia. A volte il cambio può derivare dalla volontà di cambiare stile, rinnovarsi e cercare qualcosa di diverso e so bene che un rapporto studio/cliente non sia eterno.

Il secondo tasto dolente è: non esser riuscito a trasmettere tratti identitari del logo al mio cliente. 

Forse a causa di una mia mancanza, non sono riuscito a infondere nel mio cliente l’importanza dei segni distintivi del suo logo e il rispetto che meritano. Diversamente avrebbe rifiutato la proposta presentata, chiedendo di realizzare qualcosa che rispettasse la sua immagine.

Perché ti ho riportato questo lungo aneddoto? La risposta è molto semplice.

Nel mio lavoro ci metto il cuore e so bene che un’azienda è come un figlio. Un logo non è soltanto un’immagine, un’azienda non è solo un edificio e ogni cosa ha la sua importanza. Dietro le aziende ci sono persone, vite dalle quali possono dipendere intere famiglie, che hanno la necessità di comunicare i propri valori.

Non è un caso se, nell’approcciarmi ad un nuovo lavoro, mi pongo con rispetto nei confronti del marchio già esistente.

Non sempre il nuovo distrugge il vecchio.

Vorrei che chiunque chieda di realizzare un progetto ad una nuova agenzia, chieda di rispettare le linee guida e l’immagine che si erano imposte all’origine.

Vorrei che non ci sia il timore di dire “no, questo non rispecchia i miei valori e l’identità del mio marchio”, perché la loro inosservanza è forse l’errore più grande e grossolano che si possa commettere in comunicazione.

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