Quanto conta saper leggere un’opera d’arte contemporanea prima di giudicarla?

Immaginando le conversazioni che ho avuto in passato con persone che non sono sempre abituate a osservare un’opera d’arte, ho capito che l’estetica del figurato, delle opere classiche o rinascimentali, per esempio, hanno un impatto molto più diretto rispetto a produzioni artistiche più contemporanee e più criptiche.

Questo perché il figurato trattato in maniera più tradizionale è di facile lettura anche per chi non ha gli strumenti per poter leggere il concetto che vi troviamo dietro.

Per questo motivo artisti contemporanei come Jago o Jorit per citarne alcuni, riescono ad avere un impatto più diretto con il pubblico perché adottano un linguaggio molto più semplice…

…e poi c’è un segreto.

Jago, ad esempio, ha sempre accompagnato il suo pubblico ad una condivisione di tutto il processo creativo, e raccontato il suo lavoro utilizzando un canale diretto come quello dei social.

Finalmente un artista che condivide tante cose del suo mondo e rompe quell’aspetto d’élite e così distante dell’arte che “non può essere di tutti”.

È qui che c’è il nocciolo della nostra questione.

Io penso che l’arte contemporanea, in gran parte, ribalti i due aspetti alla base di ogni opera: il pensiero e la rappresentazione.

Si perché nell’arte piu “tradizionale” passami il termine, la rappresentazione veniva fuori prima ancora del pensiero che vi era alla base.

Quindi un lavoro classico, rinascimentale, poteva risultare di facile lettura o semplicemente l’osservatore era maggiormente libero di vedere ciò che più gli apparteneva.

Rendendo la percezione di quell’opera più vicina al suo mondo.

O semplicemente uguale a quello che già osservava.

In alcuni lavori contemporanei questo concetto viene ribaltato.

Il pensiero, il messaggio, sta alla base della processo creativo, e la rappresentazione, spesso, passa in secondo piano.

Lasciando spesso all’utente il compito di ragionare, pensare, e aggiungere elementi a quella stessa opera.

Molto spesso in questo caso l’osservatore viene lasciato da solo a comprendere un concetto e chi non ha gli strumenti giusti, rischia di commettere degli errori.

Come ad esempio è potuto accadere nel caso della venere degli stracci installata a napoli del quale ho parlato in questo articolo.

Si. Perché le opere vanno raccontate! Vanno spiegate a tutti!

Anche a persone lontane dall’arte…se vogliamo avvicinarle a questo mondo ovviamente.

Basta con l’idea che un concetto dietro un’opera debba essere capito solo da pochi e provvediamo a rendere semplice la comunicazione dei concetti artistici a tutti quelli che la osservano.

Per questo motivo è nato il mio canale che ha come obiettivo quello di raccontare l’estetica (e quindi anche l’arte) in tutte le sue forme.

Perché sono estremamente convinto che l’estetica salverà il mondo!

Con questo articolo non voglio parlare del gesto criminale compiuto perché sono estremamente convinto che andrebbe punito.

Ho deciso però di parlare dell’argomento perché leggendo i diversi commenti scritti ho avuto la percezione che quell’opera non piacesse a molte persone.

E quindi mi chiedo:

Un opera del genere è capita da tutti?

Immaginando le conversazioni che ho avuto in passato con persone che non sono sempre abituate a osservare un’opera d’arte, ho capito che l’estetica del figurato, delle opere classiche o rinascimentali, per esempio, hanno un impatto molto più diretto rispetto a produzioni artistiche più contemporanee e più criptiche.

Questo perché il figurato trattato in maniera più tradizionale è di facile lettura anche per chi non ha gli strumenti per poter leggere il concetto che vi troviamo dietro.

Per questo motivo artisti contemporanei come Jago o Jorit per citarne alcuni, riescono ad avere un impatto più diretto con il pubblico perché adottano un linguaggio molto più semplice.

Io penso che l’arte contemporanea, in gran parte, ribalti i due aspetti alla base di ogni opera. Il pensiero e la rappresentazione.

In alcuni lavori contemporanei, il pensiero, il messaggio sta alla base della processo creativo, e la rappresentazione, spesso, passa in secondo piano. Lasciando all’utente il compito di ragionare, pensare, e aggiungere elementi a quella stessa opera. In questo caso l’osservatore viene lasciato da solo a comprendere un concetto e chi non ha gli strumenti giusti, rischia di commettere degli errori.

Provo, quindi , a raccontarti l’opera qui.

Pistoletto nel lontano 1967 ha realizzato la Venere degli Stracci per la prima volta. L’opera prende in prestito dallo scultore Bertel Thorvaldsen la venere con la mela che l’Artista Michelangelo Pistoletto posiziona davanti ad un cumulo di stracci.

L’dea dell’opera in generale per spiegarla in poche parole (anche se potremmo parlarne) è quella di guardare con attenzione a questo mondo che continua a trascurare il bello e che lascia sempre più scarti, più rifiuti, ma dal punto di vista sociale.

Il cumulo di abiti dell’essere umano non più indossati, hanno avuto una vita in passato, una storia vissuta e poi vengono abbandonati e svuotati della personalità.

Un po come accade con le relazioni, o i progetti di vita. E la venere che rappresenta il bello che insiste ad esistere e che viene dal passato cerca di ripristinare questo scempio che sta accadendo.

Nell’installazione dell’opera di Pistoletto in Piazza Municipio a Napoli, a mio parere ci sono state, però, delle problematiche.

Vista dal vivo rispetto all’originale che ho potuto solo vedere dalle immagini, ho percepito da subito una problematica basata sulle proporzioni.

Si perché era troppo grande rispetto al cumulo di stracci la venere.

Capisco che la piazza in cui è stata collocata era relativamente ampia e quindi si sarebbero perse le proporzioni inserendo un’opera che rispettasse le misure originali.

Era quello un posto dove collocarla?

Forse si poteva individuare una collocazione più adeguata per rispettare le proporzioni e le misure originali

Ma questa è una decisione dell’artista che spero l’abbia presa in considerazione e quindi chi siamo noi per controbatterla?

In sostanza spero che da questa storia vengano studiati i punti veramente critici di questo progetto.

Riuscire a sensibilizzare maggiormente gli osservatori prima ancora di pretendere che quell’opera possa essere capita e compresa da tutti.

Quando il pensiero di un artista viene raccontato in maniera semplice ed immediata anche un bambino potrebbe apprezzarne l’estetica e forse magari lasciare quel seme che un giorno possa chiamarsi rispetto dell’arte.

Non possiamo pretendere che un progetto o una performance vengano comprese da tutti indistintamente.

Basta con l’idea che un concetto dietro un’opera debba essere capito solo da pochi e provvediamo a rendere semplice la comunicazione dei concetti artistici a tutti quelli che la osservano.

Raccontare un’opera d’arte è importante.

Ti lascio qui un video che ho pubblicato sul mio canale youtube che racconta in maniera più ampia il mio punto di vista sull’argomento.

Dopo aver scritto un articolo sull’atto vandalico fatto alla “Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto installata in piazza Municipio a Napoli, mi sono posto una di serie di domande.

Le istituzioni avrebbero potuto fare di meglio per riuscire a far accogliere un’opera come questa?

È giusto pretendere che un pubblico più ampio capisca un opera di non facile lettura?

Prima di addentrarci nell’argomento, però vorrei pormi una riflessione su quando un’opera di arte contemporanea viene installata in un luogo pubblico e di libero accesso da tutti.

perché per me, esistono due processi che anticipano la visione di un’opera d’arte:

1. Io entro in un museo e sono predisposto ad osservare dei lavori che potrebbero suscitare in me un punto di domanda.

Una “Reazione” perché l’arte, secondo me vive di reazione. E questo è lecito e quasi naturale.

2. Quando questo processo cambia direzione, quindi l’arte entra, irrompe nella vita delle persone, allora li bisogna stare molto più attenti.
Aldilà della sregolatezza del luogo perché le luci non sono studiate, e gli spazi hanno delle influenze estere come rumori o vincoli visivi diversi da uno spazio convenzionale come di un museo.

Quindi non tutti i progetti si possono adattare a questi criteri.

Ora…facciamo un esempio:

Io sono a Napoli, una città che viene spesso denigrata e considerata la città della “Munnezza”.

Credetemi vengo sempre colpito da queste parole.

Io scendo in piazza per andare a prendermi un buon caffè e trovo questo cumulo di stracci ammassati davanti a una bellissima statua bianca.

Ora, non voglio essere linciato per questo discorso, però è un attimo che nella mente di un cittadino qualunque possa venire fuori una reazione di dissenso.

Anche perché, citando le parole stampate su un pannello che ho visto li nella piazza, che c’è una sorta di dualismo fra quello che è il bello ed il brutto, le costruzioni e le macerie, e quindi queste due facce di Napoli.

Ora non voglio criticare queste parole, però sono state le parole che di sicuro, ha letto chiunque sia passato in quel momento davanti a quell’opera, in quella piazza.

Ma qui parliamo del fatto che un’opera viene piazzata li e “quasi” obbliga l’osservatore ad essere vista. Non dico che stiamo violentando una giornata ad un passante che aveva voglia quel giorno di andare a bere un caffè…questo no. Ma bisogna prenderlo in considerazione.

Quindi, in questo caso chi decide di procedere con un progetto del genere ha l’obbligo di porsi queste domande e dissipare tutti i dubbi che possano mai venire.

Basta con l’idea che un concetto dietro un’opera debba essere capito solo da pochi e provvediamo a rendere semplice la comunicazione dei concetti artistici a tutti quelli che la osservano.

Spesso si dà spazio alla pubblicità dell’avvenuto progetto, alla notizia che Pistoletto abbia installato un’opera a Napoli

Perché non sensibilizziamo il territorio con una campagna dei comunicazione che racconti il motivo della realizzazione di quell’opera, il messaggio che c’è dietro a quell’opera stessa?

Qui il concetto alla base è abbastanza chiaro nella mente di Pistoletto, e credo che il suo desiderio di comprensione dell’opera avrebbe dovuto prevaricare sull’idea narcisistica di dare una paternità all’opera stessa o al progetto intero.

Mettiamo i sottotitoli ad un film per farlo capire a tutti, utilizziamo il linguaggio dei segni per i non udenti, perché non mettiamo, a questo punto, i sottotitoli ad un opera d’arte? E magari, come in questo caso, in napoletano.

Oppure potremmo mettere un monitor con un attore napoletano, che mi racconti il concetto in lingua napoletana come se ad ascoltare ci fosse un bambino di 3 anni.

Parlo di questo argomento in maniera più esaustiva in un video sul mio canale youtube. Scrivimi nei commenti la tua idea al riguardo.

© Vittorio Errico – info@vittorioerrico.it – p.iva: 03848070615