Dopo aver presentato un logo mi imbatto spesso in una domanda semplice ma con tutto un mondo dietro: cosa mi ha spinto a scegliere quel colore?

Potrei cominciare a citare una letteratura intera su cosa si trova dietro allo studio dei cromatismi per un progetto. Il significato dei colori nella mente degli utenti. Quanto possa essere così distante lo stesso colore se solo ci spostiamo da un continente all’altro. Gli usi radicati nella tradizione di un popolo. L’estrazione dei pigmenti e le origini stesse del colore, radicate in un’appartenenza, che spesso non lascia traccia sulla carta, ma soltanto nei racconti tramandati da uomo a uomo. 

Potrei parlare dell’assonanza, dei contrasti, degli accostamenti e la continua sperimentazione. Le “regole” dei primari, analoghi, dei complementari, divergenti o equidistanti, e la loro rottura.

Eppure dietro ad ogni singola scelta, credo ci sia stata una sola motivazione: il cuore.

Se chiedi ad un musicista perché abbia scelto quella sequenza di note non riuscirebbe mai a metterci la tecnica nella sua risposta. Un cuoco non potrebbe mai relazionare l’accostamento fra il profumo e la consistenza della polpa di un pomodoro. 

Diffido sempre da chi vuole anteporre il tecnicismo alle scelte di stile, soltanto per dare spessore a ciò che si sta vendendo e non proponendo.

Non voglio dire che scelgo a c***o, ma che la spinta della stessa scelta viene comunque sorretta dal continuo studio della materia. Questo fa si che diventi spontanea nel momento dell’avvenimento.

Forse la risposta potrebbe sembrane banale, ma di certo resta quella più vicina alla mia verità. Una scelta fatta a occhi chiusi, accompagnata dal respiro e dal sorriso di chi osserva, in quel momento, davanti a me. 

Sono oltre 15 anni che faccio questo lavoro. Un lavoro che chiamo ancora passione.

Da parecchi anni mi ritrovo a confrontarmi con un tema molto arduo: il mio cliente ha le idee chiare?

Sì, perché questa è l’unica cosa da non sottovalutare quando si lavora con una committenza.

Riuscire a comprendere l’idea di chi ti sta chiedendo di realizzare qualcosa per se o per la sua azienda.

Tantissime volte (soprattutto nei primi anni) facevo l’errore di proporre delle cose che appartenevano alla mia idea di immagine o di design, ma che in realtà si allontanavano molto da quella del mio cliente.

Forse per mia inesperienza oppure perché, in quel caso, il mio committente non aveva le idee ben chiare.

Come faccio adesso in studiomono ad avere le idee chiare su cosa vogliono e cosa piace ai nostri clienti?

Nel corso degli anni ho imparato a capire, e studiare, i gusti personali di chi mi chiede un progetto. È molto importante capire con chi sto parlando e qual è il suo background.

Da non sottovalutare è lo stile che il mio cliente vuole dare alla propria azienda. Non mi dimentico mai  che il nostro lavoro verrà impiegato per questa realtà e che dovrà soddisfare tutte le esigenze di chi lo commissiona.

Questo ovviamente non significa che ogni progetto verrà realizzato per accontentare chi lo commissiona, perché deve esserci sempre qualcosa di mio. Qualcosa che propone il professionista nel quale confida chi chiede un progetto.

Ovviamente si lavora meglio quando, chi ti chiede di progettare qualcosa per sé, ha le idee molto chiare. Sì, perché in quel caso si lavora in linea.

Non c’è miglior cliente di chi già sa il fatto suo.

Tanti colleghi mi dicono che con un cliente che ha le idee ben chiare si hanno molti paletti nella commissione. Ma il segreto sta proprio in questo!

Meglio un committente che ha le idee chiare e ferme invece di uno che ti lascia brancolare nel buio.

Spesso mi sono ritrovato a correre dietro una cosa inesistente, e che non accontentasse le aspettative di chi commissionava quel lavoro, il tutto proprio perché non c’erano idee concrete di quello che si chiedeva.

In questo caso la scelta migliore è stata quella di fermarsi e di ricominciare da capo, cercando fino in fondo di capire dove fosse conservata quella lampadina accesa.

La mente di un cliente è come una stanza piena di cose messe a caso: influssi dall’esterno, da altre aziende competitor, dai social media sempre pieni di informazioni, dalla televisione con target sempre più fuori fuoco.

Riconoscere la direzione da prendere attraverso l’ascolto, la comprensione delle esigenze, lo studio della soluzione migliore e l’attuazione di un progetto in linea con le aspettative.

Il mio lavoro mi piace sempre di più, perché mi pone ogni giorno davanti a tutto questo, e la soddisfazione maggiore è quella di riuscire sempre a realizzare qualcosa che restituisca, a chi mi commissiona un progetto, tutto quello che desidera.

Amo il mio lavoro, e tu?

Qualche giorno fa ero in tipografia ed ho cominciato a smanettare con un lentino tipografico intanto che chiacchieravo con i miei amici tipografi. Ho sfilato il cellulare dalla tasca ed ho fatto alcune foto di quello che vedevo: un foglio di giornale che avvolgeva delle lastre. Compare così, il retino tipografico. L’illusione ottica creata dall’accostamento di diversi punti o tratti con tonalità di colori o grigi che l’occhio umano non riesce a distinguere.

Continua a leggere

La paura del foglio bianco attacca tantissimi disegnatori, autori, creativi in genere. Ma la paura più grande è la paura di avere paura del foglio bianco. Sembra un gioco di parole ma alla base del “blocco dell’autore” c’è la paura del blocco. Una mente poco allenata ha meno attitudine ai processi creativi. Un processo creativo è la sequenza di immagini o pensieri che nascono da un pensiero o immagine e poi a cascata, come un effetto domino, arrivano ad un concetto più elaborato. Non è sempre d’obbligo che il punto di partenza sia la versione basic e quello d’arrivo si advanced –  quasi sempre ti capita che l’inizio del processo creativo sia in un punto totalmente diverso dall’idea materializzata alla fine del percorso. In poche parole: il processo creativo è un viaggio che nella nostra mente attraversa diverse città e posti da visitare.

Come faccio io ad ispirarmi? Non ho una regola ben precisa ma potrei riassumere in diversi metodi la ricerca che faccio per lavorare ad un progetto nuovo, se l’idea non arriva. Continua a leggere

Ho preso un caffè a casa di mia cugina. Uno dei soliti 10 caffè che prendo al giorno. Sulla tazza ho visto un disegno che mi ha sempre incuriosito ed affascinato. L’omino Bialetti.

Quell’ominio stilizzato, protagonista di tante storie, ma anche di un’Italia d’altri tempi. L’omino della Bialetti nasceva nello stesso periodo nel quale nacque “Il Carosello”, una trasmissione RAI che dava i natali a quello che adesso chiameremo semplicemente pubblicità.

 

L’uomo geniale che creò da un foglio di carta bianco quest’icona degli anni cinquanta si chiamava Paolo Campani in arte Paul Campani. Paul, l’uomo che creò la Paul Film, una vera e propria azienda che produceva cartoni animati. In Italia!

La matita di Paul ha dato vita a molti personaggi, che poi hanno avuto una continuità anche fuori dal Carosello: come il piccolo Calimero che tutti ricordiamo essere il personaggio dello spot AVA diventato poi un vero e proprio cartone animato per bambini. Un’intera infanzia per i miei genitori e che ancora oggi persiste fra le trame dei miei ricordi.

Su quella tazzina un personaggio o un logo? Un marchio o un fumetto?

Questo il vero genio di Paul Campani, la creazione di un personaggio, l’interpretazione di un attore-cartone, che esisteva nelle pagine di una sceneggiatura ed entrava nelle case degli italiani con un prodotto da vendere sotto il braccio. Gli inglesi reputavano assurdo dare tutto questo spazio ad una storia in televisione (più di due minuti) senza riempirlo con altri messaggi pubblicitari.

In Italia invece funzionava!

Mentre il pubblico si affezionava a quel buffo personaggio la propaganda commerciale prendeva spazio nell’immaginario collettivo.

Paul in un’intervista dichiarava di non essere un artista. Lui si definiva un commerciante. La Paul film ha dato il via ad un’epoca in cui la pubblicità in televisione avesse sempre una presenza più importante.  Questa presenza oggi è diventata, forse, prepotenza. Lo vediamo con l’inserimento dei prodotti commerciali nei film, o nelle trasmissioni televisive e nella forsennata ricerca della velocità ed immediatezza nel messaggio commerciale. Chissà se Paul avesse previsto questo scenario a distanza di sessant’anni da quella che era l’epoca del Carosello in TV?

Una strip di come si fa il caffè firmata da Paul Campani

 

Mi chiedo spesso se ci sia qualcosa da inventare o sia stato pensato già tutto. Se pensiamo ad un oggetto come l’anello portachiavi, non possiamo fare altro che andare indietro nel tempo per molti anni. Un oggetto che ha visto parecchie evoluzioni, ma che ha avuto anche i suoi difetti. Oggi la Keysmart Company cerca di superare questi difetti avendo un’idea geniale, che già aveva un seme nel buon vecchio “coltellino svizzero”. Mi piace il concetto semplice e la possibilità di evoluzione dello spessore grazie agli alloggi a vite. Con la capacità di accogliere più chiavi riducendo spazio e rumore. Ottimo il design minimale e la forma ottimizzata per una maggiore ergonomia. Un oggetto semplice che troverà la sua collocazione nelle nostre tasche.

website www.getkeysmart.com

Dopo qualche anno, riesco a realizzare un marchio che mi rappresenti.
Il logo di Vittorio Errico nasce dalla scelta della forma quadrata, forma che accoglie al suo interno le sigle “ve”.
Una costruzione utilizzata per l’inserimento delle lettere, ispirata alla regola aurea – base delle proporzioni e delle costruzioni grafiche.
La scelta della font è basata sulla ricerca della semplicità e dell’essenza legata alla linea.
Il punto accostato alle sigle cosa rappresenti lo so bene, ma il significato lo lascio all’interpretazione di chi lo osserva.

© Vittorio Errico – info@vittorioerrico.it – p.iva: 03848070615