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Una lingua di asfalto, quella che percorri per arrivare nella città di Mitrha. Una terra squarciata in due, da quella che l’uomo di un tempo chiamava lastricata. Prima non c’era, ora esiste e devasta. Se era pietra alla pietra ora è catrame, lurido come le feci, come il veleno, è nero tumore.

Si parla di passato nel presente, si parla di quello che era e quello che è. Nessuno più si chiede quanto si stia correndo. Nessuno si pone un punto di domanda. É il progresso che inghiotte. Si corre sempre di più. Non ci si ferma a guardare, si passa e si va avanti. Veloci! Senza porsi il perchè, di come mai non ci si pone più un perchè.

E tutto un corri e vai qui signore, l’ho letto sul Corriere della Sera!

Come un manifesto futurista, si guarda a quel punto lontano e si va verso quello – il punto lontano. É dal passato che si viene e che si nasce, come dalla primordiale scintilla – il fuoco.

In una desolata landa desertica, nasce una piccola fiammella che accopagna l’essere definito superiore per tutta la vita. Caldo, per gli inverni e punto di riferimento per le navi. Purificatore dai demoni, dalle streghe e dimora del male.

Arde un piccolo ceppo sul ciglio della strada e tutti sappiamo che li c’è amore per gli spovveduti. Arde un piccolo ceppo sul ciglio della strada e la lampa dà luce alle sinuose forme della venere. Ardeva un ceppo sulla strada, ora le puttane passano ai led. Il progresso si ferma, e lo stolto paga per un quarto d’orologio. Il regresso ci consiglia di andare ancora piu avanti, dove l’amore potrebbe costar meno.

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