Tutto quello che scopro sul visual design. L’immaginazione crea.

Negli ultimi anni, la necessità di creare prodotti che rispettino l’ambiente è diventata sempre più pressante.

La sostenibilità del nostro pianeta è a rischio, e ogni piccolo gesto può fare la differenza.

Con questa consapevolezza, ho creato “La Fabbrica Verde”, un poster che unisce disegno su carta e foglie vere, per esprimere il concetto di eco-sostenibilità dei prodotti.

Questo progetto nasce dalla convinzione che non basta sostituire la plastica con la carta per salvaguardare l’ambiente; è necessario ripensare l’intero ciclo di vita dei prodotti, dalle materie prime alla loro realizzazione e utilizzo.

Un dettaglio de La fabbrica verde il processo creativo dietro ad un poster sostenibile

Il processo creativo

Il processo creativo dietro “La Fabbrica Verde” è stato tanto artistico quanto riflessivo.
Ho iniziato con un disegno su carta, utilizzando un marker per delineare le forme e i dettagli.
Il passo successivo è stato raccogliere foglie vere, selezionate per la loro forma e consistenza.
Queste foglie sono state poi ritagliate e disegnate con un marker per integrarsi armoniosamente nel disegno principale.

L’esplorazione delle materie prime – il concetto di sostenibile

L’uso delle foglie vere non è stato solo una scelta estetica, ma un messaggio potente sulla fragilità della natura. Il giorno dopo la realizzazione del poster, le foglie hanno iniziato a seccarsi, trasformando l’aspetto dell’opera.

Questo cambiamento visivo serve a ricordare quanto sia delicata la natura e come noi, esseri umani, siamo solo di passaggio su questo pianeta.

L’opera diventa così una metafora della transitorietà della vita e dell’importanza di proteggere il nostro ambiente.

L’impatto visivo – il poster

Il poster, con il suo mix di elementi naturali e disegni su carta, cattura l’attenzione e invita alla riflessione. La combinazione di tecniche tradizionali e materiali naturali crea un effetto visivo unico, che comunica un messaggio di sostenibilità in modo immediato e potente.

“La Fabbrica Verde” è più di un semplice poster; è un simbolo del nostro impegno per un futuro più sostenibile. Attraverso l’arte, possiamo sensibilizzare e ispirare altri a prendere coscienza dell’importanza della natura e a fare scelte più eco-sostenibili.

Questa opera dimostra come l’arte possa essere un mezzo efficace per trasmettere messaggi importanti e promuovere cambiamenti positivi nella società.

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Quest’opera la trovi in un articolo che ho pubblicato sulla rivista Direzione Impresa Magazine che puoi leggere qui (pag.80).

Guarda altri progetti nel mio portfolio.

Dopo aver presentato un logo mi imbatto spesso in una domanda semplice ma con tutto un mondo dietro: cosa mi ha spinto a scegliere quel colore?

Potrei cominciare a citare una letteratura intera su cosa si trova dietro allo studio dei cromatismi per un progetto. Il significato dei colori nella mente degli utenti. Quanto possa essere così distante lo stesso colore se solo ci spostiamo da un continente all’altro. Gli usi radicati nella tradizione di un popolo. L’estrazione dei pigmenti e le origini stesse del colore, radicate in un’appartenenza, che spesso non lascia traccia sulla carta, ma soltanto nei racconti tramandati da uomo a uomo. 

Potrei parlare dell’assonanza, dei contrasti, degli accostamenti e la continua sperimentazione. Le “regole” dei primari, analoghi, dei complementari, divergenti o equidistanti, e la loro rottura.

Eppure dietro ad ogni singola scelta, credo ci sia stata una sola motivazione: il cuore.

Se chiedi ad un musicista perché abbia scelto quella sequenza di note non riuscirebbe mai a metterci la tecnica nella sua risposta. Un cuoco non potrebbe mai relazionare l’accostamento fra il profumo e la consistenza della polpa di un pomodoro. 

Diffido sempre da chi vuole anteporre il tecnicismo alle scelte di stile, soltanto per dare spessore a ciò che si sta vendendo e non proponendo.

Non voglio dire che scelgo a c***o, ma che la spinta della stessa scelta viene comunque sorretta dal continuo studio della materia. Questo fa si che diventi spontanea nel momento dell’avvenimento.

Forse la risposta potrebbe sembrane banale, ma di certo resta quella più vicina alla mia verità. Una scelta fatta a occhi chiusi, accompagnata dal respiro e dal sorriso di chi osserva, in quel momento, davanti a me. 

Sono oltre 15 anni che faccio questo lavoro. Un lavoro che chiamo ancora passione.

Da parecchi anni mi ritrovo a confrontarmi con un tema molto arduo: il mio cliente ha le idee chiare?

Sì, perché questa è l’unica cosa da non sottovalutare quando si lavora con una committenza.

Riuscire a comprendere l’idea di chi ti sta chiedendo di realizzare qualcosa per se o per la sua azienda.

Tantissime volte (soprattutto nei primi anni) facevo l’errore di proporre delle cose che appartenevano alla mia idea di immagine o di design, ma che in realtà si allontanavano molto da quella del mio cliente.

Forse per mia inesperienza oppure perché, in quel caso, il mio committente non aveva le idee ben chiare.

Come faccio adesso in studiomono ad avere le idee chiare su cosa vogliono e cosa piace ai nostri clienti?

Nel corso degli anni ho imparato a capire, e studiare, i gusti personali di chi mi chiede un progetto. È molto importante capire con chi sto parlando e qual è il suo background.

Da non sottovalutare è lo stile che il mio cliente vuole dare alla propria azienda. Non mi dimentico mai  che il nostro lavoro verrà impiegato per questa realtà e che dovrà soddisfare tutte le esigenze di chi lo commissiona.

Questo ovviamente non significa che ogni progetto verrà realizzato per accontentare chi lo commissiona, perché deve esserci sempre qualcosa di mio. Qualcosa che propone il professionista nel quale confida chi chiede un progetto.

Ovviamente si lavora meglio quando, chi ti chiede di progettare qualcosa per sé, ha le idee molto chiare. Sì, perché in quel caso si lavora in linea.

Non c’è miglior cliente di chi già sa il fatto suo.

Tanti colleghi mi dicono che con un cliente che ha le idee ben chiare si hanno molti paletti nella commissione. Ma il segreto sta proprio in questo!

Meglio un committente che ha le idee chiare e ferme invece di uno che ti lascia brancolare nel buio.

Spesso mi sono ritrovato a correre dietro una cosa inesistente, e che non accontentasse le aspettative di chi commissionava quel lavoro, il tutto proprio perché non c’erano idee concrete di quello che si chiedeva.

In questo caso la scelta migliore è stata quella di fermarsi e di ricominciare da capo, cercando fino in fondo di capire dove fosse conservata quella lampadina accesa.

La mente di un cliente è come una stanza piena di cose messe a caso: influssi dall’esterno, da altre aziende competitor, dai social media sempre pieni di informazioni, dalla televisione con target sempre più fuori fuoco.

Riconoscere la direzione da prendere attraverso l’ascolto, la comprensione delle esigenze, lo studio della soluzione migliore e l’attuazione di un progetto in linea con le aspettative.

Il mio lavoro mi piace sempre di più, perché mi pone ogni giorno davanti a tutto questo, e la soddisfazione maggiore è quella di riuscire sempre a realizzare qualcosa che restituisca, a chi mi commissiona un progetto, tutto quello che desidera.

Amo il mio lavoro, e tu?

Cos’è il retino? Lichtenstein e i mosaici cosa hanno in comune con la stampa tipografica?

Qualche giorno fa ero in tipografia ed ho cominciato a smanettare con un lentino tipografico intanto che chiacchieravo con i miei amici tipografi. Ho sfilato il cellulare dalla tasca ed ho fatto alcune foto di quello che vedevo: un foglio di giornale che avvolgeva delle lastre. Compare così, il retino tipografico. L’illusione ottica creata dall’accostamento di diversi punti o tratti con tonalità di colori o grigi che l’occhio umano non riesce a distinguere.

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Ispirazione nel design, esistono delle regole?

La paura del foglio bianco attacca tantissimi nel design come, autori e creativi in genere. Ma la paura più grande è la paura di avere paura del foglio bianco. Sembra un gioco di parole ma alla base del “blocco dell’autore” c’è la paura del blocco. Una mente poco allenata ha meno attitudine ai processi creativi.

Un processo creativo è la sequenza di immagini o pensieri che nascono da un pensiero o immagine e poi a cascata, come un effetto domino, arrivano ad un concetto più elaborato.

Non è sempre d’obbligo che il punto di partenza sia la versione basic e quello d’arrivo si advanced –  quasi sempre ti capita che l’inizio del processo creativo sia in un punto totalmente diverso dall’idea materializzata alla fine del percorso. In poche parole: il processo creativo è un viaggio che nella nostra mente attraversa diverse città e posti da visitare.

Come faccio io trovare l’ispirazione? Non ho una regola ben precisa ma potrei riassumere in diversi metodi la ricerca che faccio per lavorare ad un progetto di design, se l’idea non arriva. Continua a leggere

Prima di andare in studio, oggi, ho preso un caffè a casa di mia cugina. Uno dei soliti 10 caffè che prendo al giorno. Sulla tazza ho visto un disegno che mi ha sempre incuriosito ed affascinato. L’omino Bialetti.

Quell’ominio stilizzato, protagonista di tante storie, ma anche di un’Italia d’altri tempi.

L’omino della Bialetti nasceva nello stesso periodo nel quale nacque “Il Carosello”, una trasmissione RAI che dava i natali a quello che adesso chiameremo semplicemente pubblicità.

L’uomo geniale che creò da un foglio di carta bianco quest’icona degli anni cinquanta si chiamava Paolo Campani in arte Paul Campani. Paul, l’uomo che creò la Paul Film, una vera e propria azienda che produceva cartoni animati. In Italia!

La matita di Paul ha dato vita a molti personaggi, che poi hanno avuto una continuità anche fuori dal Carosello: come il piccolo Calimero che tutti ricordiamo essere il personaggio dello spot AVA diventato poi un vero e proprio cartone animato per bambini. Un’intera infanzia per i miei genitori e che ancora oggi persiste fra le trame dei miei ricordi.

Su quella tazzina un personaggio o un logo disegnato da Paul Campani? Un marchio o un fumetto?

Questo il vero genio di Paul Campani, la creazione di un personaggio, l’interpretazione di un attore-cartone, che esisteva nelle pagine di una sceneggiatura ed entrava nelle case degli italiani con un prodotto da vendere sotto il braccio. Gli inglesi reputavano assurdo dare tutto questo spazio ad una storia in televisione (più di due minuti) senza riempirlo con altri messaggi pubblicitari.

In Italia invece funzionava!

Mentre il pubblico si affezionava a quel buffo personaggio la propaganda commerciale prendeva spazio nell’immaginario collettivo.

Paul in un’intervista dichiarava di non essere un artista. Lui si definiva un commerciante. La Paul film ha dato il via ad un’epoca in cui la pubblicità in televisione avesse sempre una presenza più importante.  Questa presenza oggi è diventata, forse, prepotenza. Lo vediamo con l’inserimento dei prodotti commerciali nei film, o nelle trasmissioni televisive e nella forsennata ricerca della velocità ed immediatezza nel messaggio commerciale. Chissà se Paul avesse previsto questo scenario a distanza di sessant’anni da quella che era l’epoca del Carosello in TV?

Una strip di come si fa il caffè firmata da Paul Campani

La storia del Ghost per eccellenza in Graphic Design

Chi è che non si ricorda la barzelletta che ci si diceva da bambini del fantasma formaggino? C’era sempre il solito che cercava di raccontarla. Il Fantasma formaggino, un fantasma dalla vita distrutta.

Uno spettro che non poteva fare paura perché si manifestava col nome di formaggino, una cosa che neanche con la cattiva digestione poteva fare del male. Solo in due ebbero paura di lui in tutta la sua misera storia, il francese e tedesco che, udendo la voce del fantasma, scapparono via dal castello. Ho scoperto leggendo questo link che la storia nasce con un italiano che chiuderà la vicenda, anche se dalle mie parti le barzellette raccontate con i tre personaggi hanno come protagonista un napoletano. La distinzione rispetto all’italiano generico viene dettata forse dall’ingegnosa soluzione utilizzata dal protagonista della barzelletta. Mi viene in mente un detto napoletano che narra: “‘o napulitano se fa secco, ma nu more!” (il napoletano si fa magro, ma non muore).
Leggendo altre cose, mi è venuta voglia dare lustro alla inutile carriera di questo spirito vagante. Che comunque appartiene alla nostra infanzia e continua ancora a far divertire i più piccoli. Il fantasma formaggino dovrebbe diventare un cult della barzelletta per piccoli, e tutti dovremmo impegnarci a far si che accada.

Vi ricordo che saranno a breve disponibili anche le magliette del fantasma formaggino, che possono essere richieste inviando una mail.