Qualche giorno fa ero in tipografia ed ho cominciato a smanettare con un lentino tipografico intanto che chiacchieravo con i miei amici tipografi. Ho sfilato il cellulare dalla tasca ed ho fatto alcune foto di quello che vedevo: un foglio di giornale che avvolgeva delle lastre. Compare così, il retino tipografico. L’illusione ottica creata dall’accostamento di diversi punti o tratti con tonalità di colori o grigi che l’occhio umano non riesce a distinguere.

Se penso che ancora oggi usiamo tecniche di oltre 200 anni fa, rinnovate e modificate, ma comunque fedeli ad un concetto che viene dal passato. Quando la stampa ancora non prendeva il posto della pittura e della scrittura c’erano stati diversi esperimenti di “retini”. Mi riferisco ai Mosaici dell’antichità, al tratteggio in chiaroscuro di Da Vinci, o quello degli affreschi di Michelangelo, al puntinismo di Seurat o Signac.

[ Queste e la foto in copertina le ho scattate in tipografia ] 

Il tratteggio, il retino, il pixel. Scoperte che appartengono ad epoche completamente diverse, e tecniche utilizzate in settori che non si appartengono. Fino a quando non comincia la promiscuità delle arti visive. Fino a quando i graphic designer, gli artisti contemporanei, i videomakers non iniziano a fondere queste tecniche per fare propri i concetti e creare nuovi linguaggi. Esemplari le opere di Roy Lichtenstein, che guardava in macro la texture del retino tipografico tradizionale.

[ Roy Lichtenstein ] 

Eppure quando andiamo al bar e ci soffermiamo, dopo il caffè, a dare uno sguardo alle ultime notizie, il nostro occhio non si sofferma sulla tecnica litografica utilizzata per stampare quel pezzo di carta, e neanche sull’insieme di puntini casuali che compongono quelle immagini. Guardiamo i nostri eroi dello sport, i politici corrotti, le notizie disastranti economiche, e ci chiediamo quanti altri contagi ha fatto il covid-19.

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