Vacanze italiane
Pezzi d’Italia dal 2004 al 2014
Pezzi d’Italia dal 2004 al 2014
” Era un’estate degli anni novanta, eravamo di ritorno dalle vacanze. Percorrevamo la Salerno – Reggio Calabria, nell’Audi 80 che guidava mio padre, io seduto dietro con mio fratello, mia madre sedeva avanti, assopita dal sonno. Ricordo di aver trascorso le vacanze a Palinuro.
Dal finestrino il mio sguardo era rivolto al mondo che mi circondava, i campi coltivati, l’acciaio zincato dei guardrail, gli automezzi nei cantieri dell’autostrada fermi come giganti a riposo. Mi sentivo malinconico pensando al divertimento che mi lasciavo alle spalle ma avevo il desiderio di ritornare ad abbracciare mia nonna che m’aspettava, avevo voglia di respirare l’aria di casa.
Ancora oggi riesco a vivere quell’istante in cui il mio sguardo si infilò nella finestra di una casa che si affacciava sulla lingua d’asfalto che divideva la vallata dal costone che ci sormontava imponente. C’era la luce accesa in quella finestra, riuscivo a vedere i mobili. In quel momento ebbi la sensazione dello stare lontano dal mio mondo, e del desiderio forte di ritornarci. Pensavo a cosa stessero facendo in quella casa, a chi ci abitava, alla quotidianità che alloggiava fra quelle pareti.
Quel momento mi fece capire che siamo questo – persone che vivono i loro spazio e si sentono ospiti in altri posti. In quell’abitacolo coesisteva, come in una pellicola di Bertolucci, la differenza sottile fra il viaggiatore ed il turista.
Tutto sta nello sguardo, nell’infinitesimo lasso di tempo catturato da i nostri occhi e digerito dalla nostra anima. La differenza sostanziale che passa fra chi è lì da tempo è chi di passaggio.”
Sono sdraiato sulla spiaggia, è un pomeriggio di agosto, la giornata è stata molto calda ma adesso si sta bene, c’è una leggera brezza marina che mi accarezza il viso e il suono delle onde mi culla la mente. I miei occhi sono rivolti al cielo terso. Un’immensa lavagna che da un azzurro ormai debole, sta passando all’indaco. Due aerei che con la loro scia bianca, invadono lo spazio, mi riempiono gli occhi. Come due lame fendono l’imponente telo di un cinema, silenziose e distanti osservano dall’alto un mondo che non le appartiene. Mi chiedo se io fossi visibile allo sguardo dei passeggeri. Forse la spiaggia, la casa, il paese, la montagna l’immagine di quel viaggiatore con la testa appoggiata al finestrino, e le dita nella stoffa dei pantaloni.
Cosa stanno facendo in questo momento le persone che mi passano sulla testa?
Adesso più di allora la sensazione che ebbi quel giorno di agosto da bambino di ritorno dalle vacanze. Lo stesso dubbio di cosa ci facessero le persone in quella stanza invade la mia mente, per un’attimo riesco a sentire anche l’odore inconfondibile della moquette che rivestiva l’Audi di mio padre, chiudo gli occhi e vedo il finestrino sporco della polvere del parcheggio. Respiro, ancora, lentamente.
Lo schiamazzo dei ragazzi che giocano in acqua mi tiene ancorato con i piedi nella sabbia mentre la mia anima fa fatica a rimanere con le spalle atterra. Riapro gli occhi, lo sguardo rivolto al mare, ad un gruppo di ragazzi che stanno venendo fuori dall’acqua. Quello più piccolo mi sta davanti, di spalle. Invita gli altri a ritornare a riva – devono ritornare a casa perchè stasera hanno un falò sulla spiaggia, su questa spiaggia – La luna è immensa stasera e già illumina il cielo, è la protagonista visto che il sole ci ha abbandonati da un po’. Siamo circondati da ombrelloni chiusi, e non si sente neanche la solita musica che arriva dal lido accanto. Decido di sfilare la macchina dalla borsa e comincio a scattare. Mi piace questa luce, e l’atmosfera e quella ideale. Tutto tace e la voce dei ragazzi che vengono fuori dall’acqua sembra riempire tutta l’aria. Il ragazzo a riva si gira verso la terra ferma, l’espressione sul suo volto mi fa capire che ha perso la pazienza e non vede l’ora di ritornare a casa.
Solo ora vedo il motivo di questi scatti, il perchè per dieci anni ho sempre trovato interessanti i turisti che invadono i luoghi di villeggiatura. Sono in tanti quelli che hanno la capacità si sentirsi a proprio agio, come se fossero a casa loro, presi dalla normale routine delle attività quotidiane – farsi il bagno, prendere il sole, passeggiare portando in giro il cane, prepararsi per la serata, ubriacarsi – La gente non ama riflettere troppo e quasi sempre si richiude in meccanismi automatici per rilassarsi, per non pensare. Si lasciano alle spalle un anno di lavoro, oppure un anno di biancheria sporca da lavare – Mi pare ancora più strano che io, su questa spiaggia alle otto di sera, rifletta su queste cose; ma questo è un altro racconto.
Tutto nasce così, adesso, su quella spiaggia di Campomarino, in compagnia di quei nove ragazzi e di lei. Nasce con la consapevolezza che diventerà il meccanismo automatico utilizzato per evadere dalle normali abitudini.
Ho percorso molta strada, dal nord al sud, senza mai andare troppo all’estremità. Evito sempre le estremità perchè sono troppo selettive. Nel centro c’è più promiscuità ed è sempre più difficile distinguere l’ospite dall’ospitante, il cittadino dal passante. In queste fotografie ritrovo tutto quello che ho immaginato nel percorso fatto in auto o in moto per arrivarci, tutto quello che il continuo rumore del ferro mi ha indotto come un’ipnosi prima di scendere alla stazione.
Un giorno, in quei posti ci ritornerò e troverò quelle persone ancora lì. Tutti presenti e pronti ad oleare gli ingranaggi di quei meccanismi automatici chiamati vacanze…vacanze italiane.